Una famiglia americana… ebreo-americana

Mi capita spesso di smettere un libro. “Eccomi”  di Foer è il mio caso più recente e, se ne parlo, è perchè mi dispiace.
Lo spunto era buono: un ragazzino viene accusato d’avere scritto in classe, scuola ebraica, un biglietto blasfemo. 41velmedwbl-_sx331_bo1204203200_Lui si ostina a dichiarsi innocente a dispetto delle evidenze. La famiglia è di buon ceto medio e l’accusa rischia di compromettere il Bar Mitzvah del ragazzino, la cerimonia che sancisce il passaggio alla maggiore età. (Non sono ebreo e chiedo venia per eventuali imprecisioni.)
Il rabbino convoca padre e madre, Jacob e Julia. Mentre Jacob si arrampica sui vetri a giustificare il figlio Sam – Julia è tenace a pretendere che Sam ammetta la sua colpa e impari a sentirsi responsabile.
Da qui, si dipana la storia, senza mai trascendere dall’usuale quotidiano, in cui possiamo riconoscerci, se non totalmente, ma per molti aspetti. La figura di Jacob esce magnificamente delineata – cesellata al dettaglio. E altrettanto quella di Julia, emblematica figura femminile dedita rigorosamente a famiglia e figli a scapito di ambizioni professionali e pulsioni di libertà (disporre di un proprio spazio dove ritrovare se stessa).
Minuziosamente resi e attendibili i rapporti tra Jacopo e Julia, dal primo incontro e via via per l’intero arco matrimoniale, grafico ben raccontato nella sua ascesa e poi lenta discesa. Brillanti i dialoghi.
Ogni tanto, la meticolosità maniacale di Foer appioppa zone di scrittura nebulose, sequenze di frasi noiose che, confesso, irritanti se non inutili e da me puntualmente saltate. Altro punto: i figli, nonostante l’età, sfoggiano tratti di ironia adulta. Vero che sono il frutto di una coppia di alto quoziente intellettuale e che anche Einstein, Freud e tanti altri geni erano ebrei – ma non nascondo il dubbio che a Foer sia scivolata un po’ la mano.
Un passo che mi ha molto… sì, divertito: Julia scopre dal cellulare di Jacopo che questi da tempo invia frasi oscene ad una collega (tipo: adesso ti meriti di essere scopata nel culo piuttosto che:  voglio leccare la sborra che ti esce dal buco del culo). Nel confronto inevitabile tra moglie e marito, questi nega nel modo più assoluto di aver tradotto i  messaggi in fatti, al che la moglie lo disprezza, senza appello, convinta definitivamente di avere puntato su un uomo privo di ogni consistenza. Lei avrebbe preferito che lui avesse consumato. Ne avesse avuto il coraggio. E la reazione di Julia: non disdegna le attenzioni di un certo Mark, l’accompagnatore dei figli a un campeggio.
I tradimenti coniugali veri o presunti, le frustrazioni professionali, le ribellioni adolescenziali e le domande esistenziali dei figli, i pensieri suicidi del nonno, la malattia del vecchio cane di famiglia (che occupa un notevole spazio di vita e affettivo) sono all’apice quando, non bastasse, un terribile terremoto sconvolge il Medio Oriente. E coinvolge Jacob che in Israele ha parenti con i quali è in stretta relazione.
È a questo punto che ho lasciato il libro. Il terremoto mi sapeva tanto di trovata, espediente di un autore che doveva assolutamente andare avanti ma ormai più senza fiato. Non a caso, con l’avvento del terremoto, cambia anche il tono della narrazione.
Preferisco non giudicare. Limitarmi a un’esperienza che non può essere che personale.

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54 risposte a Una famiglia americana… ebreo-americana

  1. Paola ha detto:

    Ho adorato Ogni cosa è illuminata, mi è piaciuto abbastanza Così lontano, incredibilmente vicino, di questo, che non conosco, ho letto recensioni piuttosto negative. Peccato

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  2. Pendolante ha detto:

    Dispiace sempre lasciare un libro che ha del potenziale e questo mi pare ne abbiq

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    • Guido Sperandio ha detto:

      Sì, certo. Il potenziale l’aveva e anche svolto bene, depurato magari di qualche passo, ma tutto funzionava. L’autore avrebbe dovuto chiudere in tempo, farne un racconto. Ma probabilmente ci sono di mezzo fatti di contratto ed editori, anche quello è un mercato, con i suoi “must”, a fare i libri è sempre più… il mercato.

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      • Pendolante ha detto:

        Mi sono imbattuta anch’io in un libro scritto per dovere contrattuale e chiaramente era tutt’altra cosa dagli altri romanzi dello stesso autore

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        • Guido Sperandio ha detto:

          Che poi questo è un campo (la letteratura) maledetto perché non si può mai dire l’ultima parola. Esiste tutto un periodo (anni 30 -40) in cui negli USA furoreggiava una rivista Black Mask dedita ai gialli con chiari intenti di cassa. Ebbene, si sono rivelati un Raymond Chandler o un Dashell Hammett, autori di brani da antologia. Eppure erano mossi dalla stringente necessità di denaro. Probabilmente, erano altri tempi. Più grezzi e di “cuore”, mentre ora (vedi perfino la frutta, le mele, tutte uguali!!!) tutto nasce da meccanismi sofisticati.

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  3. L'Irriverente ha detto:

    Come scrivono vari teorici della letteratura, come – mi par di ricordare – Spinazzola, non esiste peggior condanna, da parte del lettore, che chiudere il libro e interrompere la lettura. Il fatto che ti deluda aver dovuto ricorrere al gesto estremo testimonia la serietà con cui ti sei accinto alla lettura: un giudizio sentito e quindi giusto; poi ognuno ha i suoi gusti, e io non ho nulla da dire, non avendolo letto. Personalmente ho interrotto solo due letture in vita mia, non perché non mi piacesse il libro ma perché semplicemente non era il momento per leggere quei dei libri: uno è “Un Americano alla corte di re Artù” di Mark Twain, che ho avuto occasione di recuperare in séguito – all’epoca ero piccolo e mi era parso troppo pesante – e l’altro è “Frankenstein” di Mary Shelley, che dovrò assolutamente ritentare in quanto in realtà la storia mi ha sempre affascinato, ma a bloccarmi fu allora l’urto con la lingua antiquata, che non ero ancora nelle condizioni di apprezzare a dovere.

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    • Guido Sperandio ha detto:

      E qui tocchi un tasto mio dolente. In cui, a mio conforto, mi aveva però preceduto un amico. Intendo la lingua antiquata.
      Infatti, tempo fa, m’ero proposto di leggere e gustare dei vecchi capolavori – tipo Moby Dick – ma mi sono reso conto della difficoltà di superare quel certo tipo di costruzione delle frasi. Gioielli, se analizzati con pazienza, ma a un certo momento subentrava il capogiro. Temo che sia cambiata anche la nostra morfologia, ormai castrati da anni di velocità e sempre più disossati a catturare l’attimo.

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      • L'Irriverente ha detto:

        Ho letto il romanzo di Melville due volte: faticosamente la prima, quand’ero al liceo, e più facilmente la seconda, all’università. Credo sia una questione di tempistiche, dipende da quanto uno è pronto a un certo tipo di lettura. Personalmente, posso dire che oggi i classici dalla lingua elaborata, quando non pesante, non mi appaiono più così difficili; anzi, rappresentano un ottimo esercizio.

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        • Guido Sperandio ha detto:

          La tua risposta mi fa riflettere, è una testimonianza utile. Ed è anche un incentivo a riprendere certe vecchie letture. Però a questo punto, ti confesso, mi trattiene un certo timore:
          di astrarmi da un realtà che richiede al contrario, e sempre di più, una presenza lucida e reattiva.

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          • L'Irriverente ha detto:

            “Noi leggevamo in tempo, per diletto, / di Lancialotto, come amor lo strinse; / soli eravamo, e sanz’alcun sospetto…”. Addirittura il timore di essere risucchiato dal libro? Direi che non posso aiutare su questo: ho la reattività di un bradipo…

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  4. elisabettapend ha detto:

    a me è piaciuto. tutto.

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    • Guido Sperandio ha detto:

      Come dicevo in chiusura nel post, la lettura di un libro è un’esperienza che non può non essere che personale. Ne consegue che ad un confronto le voci non possono essere che diverse e tante.
      Alla prossima e nel frattempo, buon appetito! 🙂
      (Sono in credito di un invito, non illuderti che me lo scordi!)

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  5. Alessandra ha detto:

    Peccato. Da come lo presenti non invoglia affatto. Ogni cosa è illuminata mi era piaciuto tantissimo. Ma oltretutto, dalle frasi di esempio che hai riportato, appare banalmente volgare… Possibile che l’autore sia caduto così in basso?

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    • Guido Sperandio ha detto:

      Non è che Foer ci sguazzi, è troppo acuto e astuto, si limita a buttarle qua e là, quelle frasi. Insinuanti. E appunto mi sanno tanto di strattagemma, come l’inserimento, questo sì massiccio, del terremoto.
      Il coro positivo di commenti mi induce ad approfondire con la lettura di Ogni cosa è illuminata. Mi viene da dedurre che se per certi scrittori la maturazione piena avviene libro dopo libro, per altri (vedi Foer) le prove migliori sono le prime. Non so, è un’ipotesi.

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      • Alessandra ha detto:

        Ho da tempo “Molto forte, incredibilmente vicino” pronto da leggere. Poi ti saprò dire. Le mie impressioni, naturalmente. Che ogni libro, come ben sappiamo, fa sempre un effetto diverso ad ogni lettore 😉 PS ho appena letto qualche commento in giro, da altre parti, sul libro che hai appena citato in questa pagina, e se alcuni lo osannano altri lo demoliscono senza pietà. Il dubbio rimane, non resta allora che curiosarci dentro…

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  6. Neda ha detto:

    Hai mai letto nulla di Ephraim Kishon, scrittore satirico israelita (1924-2005)? Io l’ho scoperto negli anni settanta e, purtroppo, me lo sono dovuto leggere nella traduzione in tedesco perché, all’epoca, in Italia era uno sconosciuto.

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    • Guido Sperandio ha detto:

      Sconosciuto. Ho fatto una ricerca in Internet ed esistono edizioni per lo più in tedesco o inglese. Ce n’è, rare in italiano, ma risalgono a decenni addietro. Eppure mi è sembrato un autore umoristico di notevole successo, ma a suo tempo.
      Deduco che disporne attualmente non sia facile.

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      • Neda ha detto:

        Peccato. Di Kishon possiedo 7 volumi, ma tutti in tedesco. Più che umoristico era satirico. Vero è che si deve leggerlo pensando al contesto in cui Israele si trovava negli anni settanta, o prima, infatti i testi che ho io sono stati editi dal 1964 al 1981. La satira di Kishon è rivolta sia al suo ambito personale e familiare, sia a quello socio-politico nazionale e internazionale. Alcuni giochi di parole, intraducibili in altre lingue, hanno convinto Kishon a scrivere alcuni suoi libri in tedesco, lingua che rende molto bene questo tipo di satira. Per esempio “Die U.N.Recht ist eine Unrecht” significa “il diritto degli Stati Uniti è un non diritto – ovvero, la negazione del diritto”. So che ha scritto in aramaico, all’inizio e so anche che molte sue opere sono state tradotte in diverse lingue. Credo però che nella traduzione, a parte per il tedesco, in lingue come per l’italiano sia quasi impossibile mantenere quei giochi di parole che lui ha inventato. Ho riscontrato la stessa cosa in un libro di Camilleri tradotto in francese.

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        • Guido Sperandio ha detto:

          Evidentemente l’essere legato a un dato contesto storico e in più la spesa di traduzione ecc. per un mercato aperto ad altre suggestioni, scoraggia i nostri editori.
          D’altra parte, il mare di libri è tanto infinito…

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          • Neda ha detto:

            Vero. Credo però che per Kishon il problema sia stato, già all’epoca, la difficoltà della traduzione. Infatti, negli anni settanta era uno dei nomi più acquistati in Germania, ma in Italia non si sapeva nulla di lui.
            Oggigiorno la produzione internazionale è talmente vasta…..scrivono proprio tutti e speriamo che ci sia ancora qualcuno che legge!
            Buon pomeriggio.

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  7. Carla ha detto:

    La mia cattivissima recensione uscirà tra non molto, l’ho finito solo per capire quanto potessi annoiarmi.

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  8. Paola C. ha detto:

    Ci ho provato a leggerlo un paio di volte Foer, ma non sono mai riuscita ad andare oltre le prime dieci pagine… 🤔🤔

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    • Guido Sperandio ha detto:

      E dire che tu non sei una lettrice occasionale e nemmeno limitata a certi comparti… Curiosità per capire (non te) ma Foer – quali sono i titoli a cui accenni?

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      • Paola C. ha detto:

        Io ho provato con Ogni cosa è illuminata (Guanda, 2002) e
        Molto forte, incredibilmente vicino (Guanda, 2005); in inglese, mi sono stati regalati entrarmbi da due persone diverse e in entrambi i casi non sono riuscita ad entrare nel merito della storia. non riuscivo a provare empatia/simpatia/qualsiasicosasia per i personaggi. E la lista dei libri da leggere e’ troppo lunga per incaponirsi si cose che forse non sono arrivate al momento giusto. Quando arriva il momento un libro ti “chiama”, non trovi Guido? 😉

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  9. Ivana Daccò ha detto:

    Foer è un autore che mi fa sentire in colpa: mai letto. Di “Ogni cosa è illuminata” ho visto il film, bellissimo, e questo mi ha fatto non desiderare il libro; poi, confesso di non essere disposta a leggere nulla che abbia a che fare con le Torri gemelle; poi…basta.
    Ora arrivi tu con questa recensione; e devo dire che, oltre a prendere in seria considerazione la tua reazione al libro (come vedi, non dico “giudizio”) confesso che non mi attira di suo, che so, il genere di storia.
    Eppure, dovrò leggere Foer, prima o poi!. Penso che ripartirò dal principio, prima o poi, vale a dire da “Ogni cosa è illuminata”.

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    • Guido Sperandio ha detto:

      Le traduzioni libro-film sono sempre – dal tempo dell’invenzione del cinema – oggetto di controversia e reazioni varianti da soggetto a soggetto. Capisco il tuo evitare certi argomenti, anch’io ho i miei la cui lista col passare degli anni aumenta (come i cerchi concentrici nei tronchi degli alberi che hanno la buona sorte di non finire segati).
      Quanto al titolo in questione, devo dire che la parte Jacopo-Julia può anche essere degna, salvi certi punti che un editor a un manoscritto che non sia di firma, sicuramente non perdonerebbe.
      Anch’io ricomincio dal principio – ho lì pronto in pista per imminente lettura “Ogni cosa è illuminata”, anzi già ho scorso le prime pagine. Il passaparola ha creato l’attesa e vabbeh soddisfiamola. D’altra parte siamo sempre al punto: che di cose da leggere e dalle premesse allettanti ce n’è talmente tante…Ci si può permettere d’essere schizzinosi e anche, perchè no?, degli sprechi.
      Fammi sapere l’esito della tua lettura di “Ogni cosa…”.

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  10. Lady Nadia ha detto:

    Guarda… sarà ma non credo di leggerlo dopo queste tue annotazioni. La cosa bella è che ti credo e mi fido. Ciao!

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  11. alessialia ha detto:

    A volte proprio non si riesce a entrare nel libro che ci sta leggendo… magari perche non è lui ad aver scelto noi, ma il contrario e ci siano sbagliati…

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  12. contromattinale ha detto:

    Non l’ho letto ma so che ci sono dei romanzi che hanno bisogno della tigre, ovvero del colpo di teatro che, in Salgari, era l’arrivo di una tigre che arrivava puntale, malgrado fosse perfino in Paesi che non erano dotati di quei magnifici felini. Strano, comunque, immaginare un Autore, (maiuscolo non casuale) che non abbia un progetto compiuto, già da prima di iniziare la stesura di un romanzo. Più normale, invece, in autori che scrivevano a puntate e che, davvero, non sapevano come concludere il racconto, alla Salgari. Una così è la P.D.James, brava ma con la tendenza al colpo di scena. Nota per Guido: sto partendo per NY e lascio il mio Contromattinale per un po’, fino ad Aprile, penso. Non perdiamoci di vista..

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    • Guido Sperandio ha detto:

      Salgari, poveretto, era assillato da esigenze di natura ben poco letteraria. E poi, come anche per i feuilleton, l’epoca era quella.
      Quanto all’Autore (A maiuscola)… è incredibile il numero di modalità con cui i vari Autori affrontano la scrittura di un romanzo. Ciascuno ha la sua, come ebbi modo di constatare da una rassegna di interviste. C’è chi parte… dalla fine, scrivendosi il finale e poi il resto.
      O chi addirittura da un titolo.
      Infine, per il Contromattinale: segnala il tuo ritorno, ad aprile, ci conto, lo dico e non per dire 🙂

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